In questo appuntamento scopriamo il secondo romanzo del ciclo dei moschettieri: “Vent’anni dopo”, pubblicato sulla rivista “Le Siècle” nel 1845.
Il titolo esaustivo dà subito l’idea del lasso di tempo intercorso tra “I tre moschettieri” e questa nuova avventura.
I nostri eroi, infatti, sono maturati, D’ Artagnan si è lasciato alle spalle l’impavida giovinezza ed è diventato un maturo ufficiale dei moschettieri. Un uomo solido che non ha perso, di certo, la sua indole guascona e nemmeno le sue ambizioni. Il titolo di capitano non è ancora arrivato e la cosa lo impensierisce non poco.
Il romanzi, infatti, inizia con il moschiettere seduto nell’atrio, a far da guardia al cardinale Mazzarino, proprio impegnato sulle valutazioni della propria carriera militare.
Gli scenari politici della Francia sono mutati in maniera radicale, Luigi XIII è morto, e la stessa sorte è toccata al grande e controverso Cardinale Richelieu, che ha lasciato il posto a un nuovo prelato italiano, Mazzarino, abile affarista e meschino contabile. Il primo ministro italiano è, difatti, odiato dalla maggior parte dei francesi. Sul trono siede un re bambino: Luigi XIV e sua madre, la regina Anna d’Austria, regna su una situazione complicata.
Da poco, infatti è scoppiata la Fronda, un movimento di ribellione sobillato da diversi nobili di spicco, un atto contro la politica del cardinale Mazzarino e contro la reggente.
«E quei quattro uomini erano uniti, voi dite?»
«Come se fossero stati uno solo, come se i quattro cuori avessero battuto in un solo petto… e perciò, che cosa non fecero quei quattro!»
E sarà proprio per combattere la Fronda che Mazzarino chiederà a D’Artagnan, di mettersi sulle tracce degli altri tre moschettieri, nella speranza che questi uomini coraggiosi, le cui gesta ormai sono leggenda, possano aiutarlo a trarsi fuori d’impiccio.
Lord Winter cominciava a temere che Aramis non venisse. «Pazienza,» disse Athos, che teneva gli occhi fissi su rue de bac «Pazienza! Ecco là un abate che prende a pugni un uomo e che saluta una donna; dev’essere Aramis!»
E D’artagnan parte, felice di poter incontrare i vecchi amici. Dumas, con la sua inconfondibile ironia, ci porta così a scoprire il destino di Porthos, ormai Barone du Vallon, di Aramis, divenuto l’abate d’Herblay, e di Athos, ritrovato conte de La Fére, con un’insospettata sorpresa che lascia D’Artagnan a bocca aperta. Sorpresa che ha a che fare con la duchessa di Chevrouse e una notte in una chiesa…
«Un uomo solo c’era nel mondo che potesse trattenermi, e la fatalità mi mette d’avanti a quest’uomo!»
Eppure, D’Artagnan, si ritroverà a fare i conti con un ostacolo imprevisto: difatti saranno proprio due suoi amici a diventare nemici nella guerra alla Fronda.
Un ostacolo che causerà a tutti e quattro i moschettieri dolore e preoccupazione e che, tuttavia, darà vita a una delle scene più toccanti dell’intera trilogia dei moschettieri, quella di Place Royale.
«Sì, l’ho detto e lo ripeto, i nostri destini sono irrevocabilmente legati, benché ora seguiamo vie diverse. rispetto la vostra opinione D’artagnan; rispetto la vostra convizione, Porthos; ma anche combattendo in campi opposti, restiamo amici. I ministri, i principi passeranno come un torrente, la guerra civile come una fiamma, ma noi resteremo.»
Ma non saranno solo i guai francesi a riunire i moschettieri, infatti Dumas ci porta oltre Manica, a osservare un altro fatto storico di primaria importanza: la caduta di Carlo I d’Inghilterra. Di nuovo divisi, i moschettieri giungono su suolo inglese a coppie e per motivi diversi ma il destino, ancora una volta, li unirà in un’impresa epica e disperata.
La passione di Dumas per i monarchi sconfitti, per le tragedie che colpiscono le teste coronate, lo porta a creare un episodio denso di attese, d’intrighi. L’avventura inglese dei moschettieri ci spiega quanto siano legati l’un l’altro, quanto Athos veneri la nobiltà, intesa come il più alto dei principi, e soprattutto sarà l’occasione, per i quattro, per chiudere i conti con una storia oscura che, come un’ombra densa di rimorso e peccato, aleggia nei cuori dei quattro impavidi.
Come sempre, anche in questo capitolo, sono accompagnati dai loro fedeli e inseparabili valletti. Mosqueton, Grimoud e Bazin, hanno infatti seguito i loro “padroni”, mentre Planchet, ribelle frondista, ritrova D’Artagnan per puro caso e si unisce a lui nell’avventura.
Vent’anni dopo,forse, risulta meno fresco rispetto al precedente, meno denso ed epico del capitolo che lo segue, ma è un’avventura carica di avvenimenti, che attraversa la Francia in un periodo carico di agitazione, con la guerra civile che serpeggia tra le strade di Parigi e che avvelena i salotti del Governo. Trasmette un’immagine di precarietà che stride con la magnificenza del discusso Cardinale Richelieu, nemico dei moschettieri che, tuttavia, ne compiangono la grande abilità politica. Mostra un’Inghilterra così severa nei suoi principi da strappare la corona dalla testa di un re.
Con la maestria a cui ci ha abituato, Dumas crea il solito sistema di scatole cinesi, è un continuo fiorire di storie minori che s’intrecciano alla maggiore. Conosciamo Francesco di Vendôme, figlio illegittimo di Enrico IV e ritroviamo l’affascinante Duchessa di Chevreuse.
Dumas, talvolta tragico, talvolta pungente, mostra la debolezza delle teste coronate, la pochezza di nobili che dimenticano in fretta i favori ricevuti, come nel caso della regina Anna d’Austria.
Ritroviamo vecchi nemici, come Rochefort, che tuttavia, nemici non lo sono più. Entriamo in punta di piedi a osservare la paura e la debolezza di un re bambino, ancora inconsapevole del destino di magnificenza racchiuso nel suo nome.
Soprattutto, Vent’anni dopo, è la celebrazione di un’amicizia che non conosce tempo, che passa sopra agli ostacoli, a opposte visioni della vita e del mondo. Un legame che si monda dal sangue con cui è stato sporcato, che rinasce più vivo e puro di prima, maturato sotto l’incedere di un tempo che non sbiadisce le gesta e il cuore di quattro uomini che paiono legati per l’eternità. Amici veri, uniti nella gloria, come nella disgrazia.
Amici che, ancora una volta, si separeranno prima di ritrovarsi per l’ultimo, indimenticabile capitolo della loro storia: Il visconte di Bragelonne.
«Mai. Mai, lo giuro dinanzi a Dio che ci vede e ci ascolta nella solennità di questa notte, mai la mia spada toccherà le vostre, mai il mio occhio avrà per voi uno sguardo d’ira, mai il mio cuore un palpito d’odio. Noi vivemmo insieme, insieme odiammo, insieme amammo; spargemmo e confondemmo insieme il nostro sangue, e forse, aggiungerei ancora, fra noi c’è un legame più potente di quello dell’amicizia: cioè il patto del delitto poiché tutti e quattro abbiamo condannato, giudicato, giustiziato una creatura umana che non avevamo probabilmente il diritto di togliere da questo mondo, per quanto, piuttosto che a questo mondo, sembrasse appartenere all’inferno. D’Artagnan, io vi ho sempre amato come un figlio; Porthos, per dieci anni dormimmo uno a fianco dell’altro, Aramis è vostro fratello come mio, giacché vi ha amati come io vi amo ancora, come vi amerò sempre. Che cosa può essere il Cardinale Mazzarino per noi, che sapemmo forzare la mano e il cuore di un uomo come Richelieu?
Che cos’è questo o quel principe per noi che consolidammo la corona sul capo a una regina?»
Che cos’è questo o quel principe per noi che consolidammo la corona sul capo a una regina?»