La piccola Rumiko aveva sempre visto mondi che gli altri non riuscivano a vedere. La luce del mattino non aveva mai spento le immagini di draghi, velieri, oceano infiniti che la notte le mostrava. Era per questo che dura
nte il giorno rimaneva incantata a fissare un quaderno aperto sul banco, una tazza di latte vuota, persino una televisione spenta. Questo aveva suscitato spesso l’ilarità delle persone che le stavano accanto: i suoi genitori la chiamavano “distratta”, i suoi amici “svampita”, le sue maestre dicevano che era svogliata e poco interessata all’insegnamento.
Rumiko, molto spesso, aveva provato a spiegare che in quei momenti, quando rimaneva con gli occhi fissi e lo sguardo stralunato, stava inseguendo un personaggio immaginario impegnato a combattere un mostro, o un capitano coraggioso pronto a traghettare la sua nave fuori dalla tempesta.
I suoi genitori avevano sorriso, i suoi amici avevano continuato a prenderla in giro, le maestre avevano scosso la testa. Crescerai, le avevano detto.
E Rumiko, inevitabilmente, era cresciuta, ma i suoi sogni lo avevano fatto con lei.
Sognava di notte, continuava a farlo, e di giorno non riusciva a smettere, proprio non si accontentava del mondo offerto ai suoi occhi. Non le bastava e nemmeno le bastavano i mille mondi incantati che trovava nelle decine di libri letti ogni anno.
Lei continuava a inventare storie, a inseguire personaggi fantastici, a costruire mondi alternativi.
Rumiko aveva sofferto crescendo: uscire dal suo mondo fatto di sogni era sempre un trauma . Continuavano ad accusarla di essere una bambina mai cresciuta, una senza la testa sulle spalle, una sognatrice, appunto. E nelle lacrime che quelle parole indelicate avevano provocato si domandava perché essere sognatori avrebbe dovuto essere un difetto. Lei, quando sognava i suoi mondi, era felice, e quando era felice aveva l’incontenibile desiderio di contagiare con la sua felicità tutti, magari facendo un dolce, o facendo qualche regalo o semplicemente sorridendo con il cuore.
Però, come spesso accade nella vita, una tempesta più forte delle altre aveva cancellato in Rumiko la capacità di sognare. L’amore cieco che l’aveva colta, la passione bruciante per un uomo sbagliato l’avevano portata a fare la scellerata scelta di cambiare se stessa. A lui non piacevano le sognatrici, a lui piacevano le persone concrete.
In un attimo si era svestita di tutti i suoi sogni, dei suoi personaggi, della sua fantasia. Non sognava più Rumiko e di conseguenza aveva perso la capacità di sorridere. Era diventata grigia, spenta, come le era sempre apparsa la maggior parte della gente. E lei se ne era resa conto e avrebbe voluto piangere e maledire se stessa, ma le sue lacrime, che avevano lavato via sempre i suoi cattivi pensieri, se ne erano andate insieme ai suoi sogni.
Accade, poi, che l’amore per il quale aveva sacrificato tutto, morì. E Rumiko si ritrovò da sola, senza più niente. L’amore non c’era, i suoi sogni non c’erano. Era rimasto solo il vuoto. Il suo cuore non esisteva più.
Così, una sera, si addormentò, sfinita, sapendo che la sua vita aveva perso colore e significato, e fece l’insano pensiero di sperare di non svegliarsi più.
Quella notte, però, fece un sogno. Camminava in un lungo corridoio ed era sicura di essere alla ricerca di qualcosa, era stanca, non sapeva per quanto aveva camminato né per quanto ancora avrebbe dovuto farlo. Infine vide una porticina dal quale trapelava una luce. Vi entrò e su un tavolo c’era un forziere, uno simile a quello dei pirati che era solita sognare da piccola. Era chiuso, ma emanava una luce d’oro tutto intorno . L’aprì: era pieno zeppo di rubini, smeraldi, diamanti, zaffiri, perle. Ne rimase incanta e afferrò subito un rubino, con sua sorpresa vide che dentro la pietra preziosa c’era l’immagine riflessa di uno dei suoi personaggi, prese le altre pietre: tutte riflettevano una storia che aveva inventato, un sogno che aveva fatto, dentro una zaffiro c’era persino la sua immagine riflessa che piangeva, dentro un diamante, lei che sorrideva. Infine, scostando le pietre trovò una penna, uno di quelle antiche con la piuma e il pennino fatto d’oro, accanto, in una ampolla di cristallo, c’era l’inchiostro.
La mattina seguente Rumiko si svegliò: i suoi occhi erano umidi di lacrime ma era anche incredibilmente serena. Aveva sognato, si ricordò. Chiuse gli occhi e rivide il forziere. In un attimo capì cosa significava quel sogno.
Si alzò, prese un foglio e iniziò a descrivere quel che aveva visto. L’emozione la fece rabbrividire di gioia e si ritrovò a piangere,. Pianse molto e tanto. Pianse di gioia e per il dolore patito negli ultimi anni. Pianse perché, ora, sentiva di nuovo il suo cuore. Dopotutto, era ancora viva.
Da quel giorno Rumiko iniziò a scrivere, i suoi sogni così prendevano vita ed erano lì, da qualche parte, pronti per essere letti ogni volta che avrebbe vacillato.
Qualcuno da allora iniziò a chiamarla scrittrice. Lei non sapeva se era quello che voleva fare nella vita, nemmeno sapeva se avrebbe davvero voluto che qualcuno leggesse cioè che scriveva. Però sapeva che le sue storie nascevano dai suoi sogni e che quei sogni erano, da sempre, il suo tesoro più prezioso.
Rumiko, molto spesso, aveva provato a spiegare che in quei momenti, quando rimaneva con gli occhi fissi e lo sguardo stralunato, stava inseguendo un personaggio immaginario impegnato a combattere un mostro, o un capitano coraggioso pronto a traghettare la sua nave fuori dalla tempesta.
I suoi genitori avevano sorriso, i suoi amici avevano continuato a prenderla in giro, le maestre avevano scosso la testa. Crescerai, le avevano detto.
E Rumiko, inevitabilmente, era cresciuta, ma i suoi sogni lo avevano fatto con lei.
Sognava di notte, continuava a farlo, e di giorno non riusciva a smettere, proprio non si accontentava del mondo offerto ai suoi occhi. Non le bastava e nemmeno le bastavano i mille mondi incantati che trovava nelle decine di libri letti ogni anno.
Lei continuava a inventare storie, a inseguire personaggi fantastici, a costruire mondi alternativi.
Rumiko aveva sofferto crescendo: uscire dal suo mondo fatto di sogni era sempre un trauma . Continuavano ad accusarla di essere una bambina mai cresciuta, una senza la testa sulle spalle, una sognatrice, appunto. E nelle lacrime che quelle parole indelicate avevano provocato si domandava perché essere sognatori avrebbe dovuto essere un difetto. Lei, quando sognava i suoi mondi, era felice, e quando era felice aveva l’incontenibile desiderio di contagiare con la sua felicità tutti, magari facendo un dolce, o facendo qualche regalo o semplicemente sorridendo con il cuore.
Però, come spesso accade nella vita, una tempesta più forte delle altre aveva cancellato in Rumiko la capacità di sognare. L’amore cieco che l’aveva colta, la passione bruciante per un uomo sbagliato l’avevano portata a fare la scellerata scelta di cambiare se stessa. A lui non piacevano le sognatrici, a lui piacevano le persone concrete.
In un attimo si era svestita di tutti i suoi sogni, dei suoi personaggi, della sua fantasia. Non sognava più Rumiko e di conseguenza aveva perso la capacità di sorridere. Era diventata grigia, spenta, come le era sempre apparsa la maggior parte della gente. E lei se ne era resa conto e avrebbe voluto piangere e maledire se stessa, ma le sue lacrime, che avevano lavato via sempre i suoi cattivi pensieri, se ne erano andate insieme ai suoi sogni.
Accade, poi, che l’amore per il quale aveva sacrificato tutto, morì. E Rumiko si ritrovò da sola, senza più niente. L’amore non c’era, i suoi sogni non c’erano. Era rimasto solo il vuoto. Il suo cuore non esisteva più.
Così, una sera, si addormentò, sfinita, sapendo che la sua vita aveva perso colore e significato, e fece l’insano pensiero di sperare di non svegliarsi più.
Quella notte, però, fece un sogno. Camminava in un lungo corridoio ed era sicura di essere alla ricerca di qualcosa, era stanca, non sapeva per quanto aveva camminato né per quanto ancora avrebbe dovuto farlo. Infine vide una porticina dal quale trapelava una luce. Vi entrò e su un tavolo c’era un forziere, uno simile a quello dei pirati che era solita sognare da piccola. Era chiuso, ma emanava una luce d’oro tutto intorno . L’aprì: era pieno zeppo di rubini, smeraldi, diamanti, zaffiri, perle. Ne rimase incanta e afferrò subito un rubino, con sua sorpresa vide che dentro la pietra preziosa c’era l’immagine riflessa di uno dei suoi personaggi, prese le altre pietre: tutte riflettevano una storia che aveva inventato, un sogno che aveva fatto, dentro una zaffiro c’era persino la sua immagine riflessa che piangeva, dentro un diamante, lei che sorrideva. Infine, scostando le pietre trovò una penna, uno di quelle antiche con la piuma e il pennino fatto d’oro, accanto, in una ampolla di cristallo, c’era l’inchiostro.
La mattina seguente Rumiko si svegliò: i suoi occhi erano umidi di lacrime ma era anche incredibilmente serena. Aveva sognato, si ricordò. Chiuse gli occhi e rivide il forziere. In un attimo capì cosa significava quel sogno.
Si alzò, prese un foglio e iniziò a descrivere quel che aveva visto. L’emozione la fece rabbrividire di gioia e si ritrovò a piangere,. Pianse molto e tanto. Pianse di gioia e per il dolore patito negli ultimi anni. Pianse perché, ora, sentiva di nuovo il suo cuore. Dopotutto, era ancora viva.
Da quel giorno Rumiko iniziò a scrivere, i suoi sogni così prendevano vita ed erano lì, da qualche parte, pronti per essere letti ogni volta che avrebbe vacillato.
Qualcuno da allora iniziò a chiamarla scrittrice. Lei non sapeva se era quello che voleva fare nella vita, nemmeno sapeva se avrebbe davvero voluto che qualcuno leggesse cioè che scriveva. Però sapeva che le sue storie nascevano dai suoi sogni e che quei sogni erano, da sempre, il suo tesoro più prezioso.
E in quello scrigno c'è davvero tanto da tirare fuori.